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I Germani - riassunto

  • Author: Unknown
  • Course: Filologia germanica
  • Institution: Università di Pisa
  • Pages: 50

I Germani Capitolo 1. Archeologia ed etnicità: i Germani e l’idea di Germani. I concetti di Germani e germanico sono in larga parte etichette vaghe di origine erudita, che affiorano per la prima volta in Giulio Cesare per la necessità propagandistica di distinguere i Germani dai più civilizzati Galli. Chi fossero stati in origine quei raggruppamenti etichettati come “Germani” resta un problema controverso, al quale alludeva già Cornelio Tacito in un celebre e travagliato passo della Germania. Non è dato sapere da quanto tempo l’etnonimo latino Germani fosse in uso precedente alla sua prima sicura citazione letteraria. Alla suddivisione del mondo occidentale tra Celti (ad ovest) e gli Sciti (a est) operata dalla cultura greca, i Germani cisrhenani collocati da Cesare a ovest del Reno e, viceversa, la presenza di insediamenti celtici a est di questo sottolineano l’intento puramente ideologico di segnare con il corso di un fiume la suddivisione tra Celti e Germani. Proprio la politica intrusiva di Roma fu responsabile diretta di molti reinsediamenti di etnie germaniche o, indirettamente, di successive migrazioni in seguito alle conseguenze della conquista della Gallia. Una svolta decisiva si deve al sostegno capillare fornito dall’archeologia. Dal secolo XIX, gli studi archeologici hanno tirato un notevole impulso dal movimento romantico e dalle istanze ideologiche e nazionalistiche a esso collegate, le quali anelavano a ricomporre le presunte radici popolari e più autentiche delle culture europee centro-settentrionali. Superata la parentesi della Seconda guerra mondiale, l’intero approccio alla cultura germanica ha subito una rielaborazione sostanziale ancora in corso di riconoscimento definitivo, dalla quale emerge grand cautela nel vaglio dei dati spesso ambigui effettivamente a disposizione. Tuttavia l’archeologia, i riti funerari, i siti di culto, la linguistica e la lessicografia forniscono informazioni ancora troppe frammentarie per ricostruire un quadro unitario della formazione etno- e glottogenetica dei Germani. A partire dal I secolo dall’area gallica settentrionale pacificata da Roma, non emerge più alcuna spada né elmo, presenti ancora soltanto nelle tombe renane più a est. Fino al secolo II, il prestigio del servizio e del comando militare per Roma, i donativi e l’esibizione di tale status restarono un valore cruciale per le élite locali. Le tombe, separate dai grandi cimiteri comuni a cremazione, mostrano un crescente grado di omogeneità, frutto di relazioni e interscambi tra le aristocrazie barbariche di società a base agraria. Dal punto di vista della congruenza, l’aggettivo ‘germanico’ si riferisce con maggiore legittimità alla sfera linguistica, indicando un raggruppamento omogeneo dell’indoeuropeo dalle notevoli affinità con la famiglia Italo-celtica e balto-slava e con caratteristiche uniche e peculiari al suo interno, nel quale si tendono a isolare due fasi distinte:

Lo sviluppo di un nuovo sistema di opposizione consonantica La fissazione dell’accento sulla radice di parola, capace di generare una serie di fenomeni concatenati. La formazione delle comunità migratorie del secolo II a. fu il risultato di processo economici, politico, militari e religiosi, nei quali L’etnicità entrò in gioco in misura al quanto disomogenea. Nell’Europa temperata, tra l’età del Bronzo e quella del Ferro Romano non so rilevano significative discontinuità di natura archeologica né violente intromissioni o sovrapposizioni di popoli, ma una costante evoluzione tecnologica, una graduale differenziazione sociale e una condivisione di determinate consuetudini economiche, funerarie, religiose, artistiche e sociali che rientrano nella definizione di cultura.

L’affermazione dell’uso del ferro (e dell’acciaio, una lega di ferro e carbonio) si accompagna alla nuova capacità di ottenere temperature di fusione più alte di quelle del bronzo, favorito nella produzione di utensili e armi per la maggiore facilità di lavorazione. Tra 600 e 300 a si inquadra generalmente la nascita della prima cultura pre-romana del Ferro settentrionale, localizzata in bassa Sassonia a Jastorf, la quale mostra elementi di derivazione hallstattiana. Il carattere espansivo di questa cultura ne spiega la compresenza in taluni insediamenti del Tardo Bronzo nordico a sud dello Jutland, sulle isole danesi e in Scania. Jastorf e le successive partizioni anticipano la proliferazione di una serie di culture “germanico-romane” del Ferro particolarmente floride nel bacino della bassa Elba, Holstein e Meclemburgo. Le comunità orientali che non utilizzavano frequentemente le urne, o le distruggevano sulle pire funerarie, furono invece le prime ad adottare la pratica di inserire nei corredi le armi. L’espansione di questa consuetudine celtica starebbe a indicare la diffusione di ricchezza e di beni mobili di consumo derivata dall’esercizio delle armi e dall’acquisizione e circolazione dei bottini. L’archeologia riconosce come la formazione di alleanze e di realtà politiche sia collegata in primo luogo al mutamento di relazioni sociali e alla formazione di evolute strutture di controllo in grado di favorire forme simboliche di autoidentificazione intorno a nuclei memoriali, storici o familiari, non necessariamente originari. Il concetto di cultura ‘germanica’ resta un valore largamente fittizio che copre una molteplicità di manifestazioni limitate alla condivisione di singoli elementi. In termini generali, i “Germani” sono associabili a una serie di società etnicamente disomogenee disseminare sul territorio centrosettentrionale europeo, che, dalla seconda metà del primo millennio a. concorsero a formare agglomerati fluidi, interagendo in misura non accettabile con i Celti e, più tardi, i Romani. Dal III secolo a. si assiste alla fioritura del sistema celtico degli oppida, centri di potere economico e manifatturiero che rispondevano a crescenti richieste di beni coadiuvati da un’efficienza rete commerciale, dai quali emergono tracce significative di materiali di importazione. Queste prime forma di organizzazione economica su ‘larga’ scala generarono interessi di aggregazione in aree e microculture limitrofe escluse, o interessate solo marginalmente, dalle ricadute immediate di tali flussi di benessere. Nell’ultima parte del II secolo a. Roma si trovò ad affrontare la prima vera ondata di popolazioni in movimento da nord, raggruppamenti misti a probabile guida germanica, i cui nomi sono stati spesso accostati a una probabile origine jutlandese. Dalla fine del secolo II a. ampie zone dell’Europa temperata furono testimoni di spostamenti di portata regionale dal carattere migratorio di raggruppamenti diversi, che le fonti dell’epoca definiscono alternativamente Celti o Germani, i quali, a poca distanza dall’ultima guerra punica combattuta da Roma, rimisero in discussione la sicurezza territoriale della penisola italica. L’antica interazione di genti nell’Europa centro-settentrionale fu però interrotta bruscamente dalla dissoluzione della vitalità celtica e dal relativo arretramento nei circuiti politici e commerciali di Roma, fattore indiretto di ricostruzione di nuove affinità identitarie. Cos’erano allora i Germani? Un popolo? Un’etnia? I gruppi etnici si definiscono sulla base di una tradizione comune condivisa, manifestata tramite fattori quali abbigliamento, decorazione, lingua, religione e strutture sociali. L’etnicità è un fenomeno dinamico, espressione di forti istanze ideologiche e dunque suscettibile di manipolazioni volte a difendere singoli interessi.

L’omogeneità dei primi manufatti di una cultura indigena nord-occidentale non può escludere un utilizzo in loco di artigiani celtici, ivi chiamati per lavorare nei giacimenti di lignite e limonate disponibili a est del Reno, in considerazione dei costi delle importazioni. Accanto all’archeologia, le cui sole indagini non possono fornire che dati limitati, i contatti celto-germanici sono stati indagati anche sul versante linguistico. Qui sembra emergere una serie di relazioni che riunisce un sottogruppo indoeuropeo italico-celto-germanico. L’analisi dei prestiti germanici dal celtico manifesta gli effetti della Mutazione consonantica germanica. Da ciò si deduce che la modificazione può avere avuto luogo nel periodo intermedio tra l’ingresso dei primi prestiti dal celtico e l’arrivo di quelli dal latino. Le due compagini linguistiche condividono una serie di isoglosse che sembrano indicare sviluppi presumibilmente analoghi a livello istituzionale, sociale e culturale. Il primato della cultura materiale celtica ha indotto in modo generalizzato a considerare la prima sempre come donatrice verso la seconda, laddove si rilevi una certa convergenza linguistico- culturale. È necessario che le più antiche corrispondenze lessicali certo-germaniche vengano scrutinate in un articolato contesto diatonico, disastrati o e diacronico, nel quale lessicografia e scienze onomastiche contribuiscano a una più precisa definizione dei contatti tra le due comunità, al fine di svelare se si tratti di eredità comuni o di prestiti. La toponomastica può contribuire a chiarire le antiche relazioni tra Celti e Germani. Hercynia silva designava la catena dei bassi rilievi della Germania centro-meridionale, che dalla Foresta Nera si estendeva verso est. Il nome è di chiara matrice celtica e la vicinanza di Helvetii e Boii fa di loro la fonte più veritiera alla quale potrebbero aver attinto i geografi antichi. Il lungo contatto tra le due protolingue ha favorito la condivisione di numerosi antroponimi.

Capitolo 3. Roma e i Germani dall’epoca repubblicana alle guerra ‘marcomanniche’. In Europa grandi alleanze miste a probabile guida germanica sciamarono verso la Gallia, l’Iberia e la Pannonia già celtizzata da Scordisci e Boi. Una di queste, i Cimbri, penetrò nel Noricum e nella valle del Rodano e dopo aver sconfitto due eserciti romani, scatenò una serie di ribellioni tra alcune etnie celtiche da poco sottomesse a Roma. Dopo una breve permanenza nella Gallia Belgica, altre sue grandi alleanze, Ambroni e Teutoni, cercarono di insediarsi in Provenza, dove nell’autunno del 102 a. furono sconfitte da Gaio Mario, il quale annientò definitivamente i Cimbri. Allo scopo di consolidare la Gallia da ulteriori sconfinamenti germanici, Cesare decise di intraprendere un’azione dimostrativa e intimidatoria con reparti scelti. Rientrato in Gallia, fissò al Reno il confine delle conquiste romane, oltre il quale erano sorte due nuove entità: la Germania e i Germani. Per la prima volta, l’etnonimo ‘Germani’ descriveva un’unità etnica a sé, stanziata su un territorio che da essi traeva dunque il nome. L’ingresso di Roma in quell’area nevralgica e l’arbitraria demarcazione del Reno come confine tra Celti e Germani provocarono nuovi squilibri e altrettante ripercussioni nei quattro secoli che seguirono. L’interruzione della rotta commerciale (pre-romana) dal Mediterraneo alle Ardenne e la fine dell’interscambio sulle due sponde del fiume, sui quali era basato il sistema degli oppida celtici, sancì il collasso di un antico circuito economico e culturale degli agglomerati celto- germanici che nel giro di pochi anni si esaurì. L’assenza di centralizzazione del potere, la forte riduzione della domanda e la fuga verso piccole comunità disseminare localmente sono le premesse dello scadimento della produzione manifatturiera i fini a un livello domestico ed episodico.

La guerra civile che seguì il ritorno di Cesare in Italia ostacolò tuttavia la messa in sicurezza delle terre a est del Reno, i cui popoli oltrepassavano frequentemente il fume dandosi al saccheggio.

Le guerre germaniche. Dopo tre anni di campagne alterne che avevano raggiunto l’Elba, l’offensiva romana scatenata da Agrippa e Druso aveva prodotto la sottomissione di Batavi, Frisi, Chauchi, sul bacino costiero, Bructeri, Chatti, Sugambri, sul basso Reno, e dei Cheruschi sulla Weser. Al successo aveva contribuito la creazione di reti viarie, terrestri e fluviali. La spedizione navale di Tiberio giunse fino agli stretti jutlandesi e con la vecchia tecnica delle intimidazioni e della ‘terra bruciata’ Batavi, Frisi, Usipeti, Bructeri e Chauttuari e parte dei Chauchi furono ridotti di nuovo all’obbedienza, completando la sottomissione dei due clan dirigenti dei Cheruschi. I longobardi furono assoggettati e fu rafforzato il sistema di centri di confine collegati sull’Elba, al di là del quale erano insediare le etnie suebiche di Semnoni e parti di Ermunduri, alle quali fu concesso di stabilirsi più a sud sull’alto Meno. È forse in questo periodo che si afferma l’idea di una conquista ormai imminente di una regione che andava da Vienna alla foce della Weser fino all’Elba. La nomina del nuovo comandante delle legioni di stanza in Germania, Quintilio Varo, contribuì tuttavia a vanificare la politica imperiale locale, basata su un lento processo di integrazione improntando a una ‘naturale’ egemonia culturale romana. Con Varo, l’instaurazione di un regime giuridico e fiscale incurante delle autonomie e delle signorie locali sbilanciava i delicati rapporti di forza all’interno della società germanica, ancora vincolata a un sistema economico arcaico ma funzionale, con una limitata accumulazione privata delle risorse e una proprietà fondiaria gestita dai clan. In questa politica di tende a identificare una causa di insofferenza, che si consolidò proprio intorno alla figura del principe cherusco Arminio. Egli fu in grado di organizzare una larga alleanza tra le aristocrazie di tribù smembrate tra Reno ed Elba e trasse in trappola Varo e annientò tre intere legioni, tre squadroni di cavallerie e sei coorti. Varo morì poi suicida. La notizia giunse a Roma generando il panico e una vera e propria caccia all’uomo: i Germani della guardia imperiale furono allontanati e la letteratura iniziò a registrare commenti sull’infedeltà e la perfidia di questi ‘barbari’. Arminio non attaccò oltre. La sconfitta produsse un ripensamento della politica romana: Ottaviano ampliò il numero di legioni renane, ma da allora le ambizioni di un controllo territoriale fino all’Elba arretrarono di nuovo al Reno di Cesare.

I limiti economici dell’espansionismo in Germania. L’infiltrazione romana alla metà del sec. I proseguiva secondo una linea più attendista. A est del Reno, la mancanza di una centralizzazione economica our minima impedì a Roma di accedere direttamente alle fonti di approvvigionamento locale necessarie. La politica di espansione di Roma si fermò a cavallo di due culture variamente sviluppare:

- la Cultura degli oppida, fatta di insediamenti di una certa grandezza e di un’economia

parzialmente monetarizzata.

- Culture più arretrate (tra le quali Jastorf), con economie di baratto e risorse ridotte.

Il complesso strategico romana risultava inoltre idoneo per combattere nemici con un’economia controllata, con sedi fisse e depositi concentrati da proteggere, laddove l’arretratezza dei Germani era darà proprio dall’assenza di una struttura politica ed

diventato uno strumento aggiuntivo col quale viene oggi valutato il processo di integrazione romano-germanico:

- accettazione della presenza romana- Conflittualità tra i gruppi- Alleanze trasversali e trattative con singole élite- Crescente potere di ausiliari e ufficiali germanici al rientro nelle tribù- Frantumazione sociale- Espressione culturale dell’integrazione

Capitolo 4. I Germani nelle fonti classiche. La diversità culturale tendeva a essere percepita come deviante o più semplicemente ‘barbarica’. Il frutto di tale convinzione di superiorità si traduceva nella descrizione esteriore di culture straniere quasi sempre percepite come inferiori. Ciò avveniva sulla base di un insieme di luoghi comuni applicabili a varie realtà umane. La descrizione di Giulio Cesare sull’assenza di figure sacerdotali tra i Germani e sulla pochezza delle loro divinità aniconiche tradisce un interesse teso più che altro a screditare l’universo religioso barbarico piuttosto che a fornirne un quadro veritiero. La fonti originarie relative ai Germani sono assai incerte; non si conoscono per intero le opere di Posidonio e di Plinio, a cui Tacito ha attinto, e non è possibile verificarne l’esatta portata all’interno della Germania, né come egli le abbia utilizzate o da chi abbia raccolto altre informazioni. Col passare dei secoli la situazione non migliora e la formazione di singoli raggruppamenti generò tra gli autori un’immagine ancora più frammentaria del mondo germanico. Per i Greci, ma anche dopo lo stesso Cesare, i Germani non erano altro che se non una ripartizione delle genti celtiche. Pytheas di Marsiglia - sarebbe stato autore di una straordinaria spedizione navale. È stato il primo a mettere in discussione la tradizionale ripartizione dell’Europa nord-occidentale tra Celtia e Scizia elaborata dall’etnografia greca, rivelando l’abitabilità delle terre settentrionali. Polibio di Megalopoli - statista greco. È il primo a identificare con maggiore precisione i costumi dei Celti e le relative partizioni tribali. Posidonio di Apamea - le sue Storie contengono le più antiche informazioni presunte sui Germani. C Cesare - nei Commentarii de bello gallico cita 16 etnie germaniche; distingue con chiarezza i Cimbri e i celtici Elvezi ed è il primo a considerare il Reno come confine geografico occidentale della Germania, senza menzionare alcun altro limite. La descrizione di Cesare restò comunque isolata: al di fuori delle Res Gestae di Ottaviano Augusto, che accoglie la distinzione tra Cimbri e Galli, buona parte di storici e geografi non accettò le nette distinzioni etniche cesariane. Con il ‘cognome’ Germani, Cesare indicava le aggregazioni militari anti-romane di un insieme di tribù settentrionali di probabile provenienza Belgica, regione che ospitava i più bellicosi tra quei Galli che in passato avevano saputo dimostrarsi più valorosi dei Germani.

La società germanica in Giulio Cesare. Cesare mostra un interesse relativamente modesto per i costumi dei Germani: non accenna alla loro lingua e le notizie sul livello di civiltà da esso raggiunto si riconducono in prevalenza all’etnografia greca. Per quanto riguarda l’organizzazione politica è sconosciuto l’istituto monarchico, tra i Germani occidentali non vi è traccia di un’auto dirà individuale; i rappresentanti dei vari nuclei tribali si impegnano nella mediazione delle dispute interne, ma sono privi di potere coercitivo.

Nessuno è proprietario di terre, ma ogni anno dei ‘magistrati’ riassegnano i terreni a famiglie o gruppi parentali; Cesare cerca di spiegare una simile scelta con il disinteresse a divenire una società stanziale e pacifica. In caso di guerra, si riuniva un consiglio generale di ‘capi’ con poteri civili eccezionali e responsabili delle manovre, ma non l’assemblea dei guerrieri, mentre è impossibile stabilire se una simile assemblea di maggiorenti si riunisse anche in tempo di pace. Negli scontri non impegnavano i cavalli, mentre si combatteva a piedi. Le incursioni a scopo di razzia commesse fuori dai confini tribali non sembrano aver generato riprovazione nella società germanica. Il dominio cultuale riconosce alla donna una certa rilevanza pubblica: a figure pubbliche femminili era riservato il compito di esprimere presagi e vaticinii, anche a proposito di una sfera maschile come la guerra.

I Germani nelle fonti da Giulio Cesare a Cornelio Tacito. Tito Livio, storico romano, autore degli Ab urbe condita libri, al libro 4 di questa opera parla di usi e costumi germanici e delle guerre di Cesare contro Ariovisto. Strabone di Amasia, Ponto, è autore di una Geografia in 17 libri. Egli distingue Germani e Germania dai Galli: la Germania sembra differenziarsi solo per la collocazione più settentrionale ma egli non considera i due gruppi etnicamente diversi. I Germani sarebbero solo più puri, primitivi e selvaggi dei Celti. Il contributo di Strabone si indirizza soprattutto sul piano geografico, con la prima descrizione di fiumi della Germania oltre al Reno. Velleio Patercolo, già ufficiale in Germania, era stato testimone oculare di fatti, luoghi e popoli. Pomponio Mela, geografo ispanico, è autore di un repertorio di livello scientifico non elevato che integra e migliora le informazioni di Strabone. Nel III libro descrive il territorio dei Germani. Plinio il Vecchio, senza dubbio una tra le fonti principali, è impegnato per un ventennio nelle guerre germaniche descritte in venti libri andati perduti. Dopo una digressione sulla Germania, vi aggiunge i popoli che la abitano, dei quali fornisce una ripartizione in cinque raggruppamenti, secondo una tradizione mitografia di ampio successo, da Tacito alla letteratura medioevale in latino e nei volgari. Cornelio Tacito è uno dei più attenti conoscitori del mondo germanico. Autore delle Historiae e degli Annales, egli è altresì della Germania.

I Germani nell’opera di Tacito. Germania si distingue dalla tradizione che l’ha preceduta per la descrizione molto più esaustiva della società germanica e delle singole popolazioni. Il lavoro manifesta una certa apertura nei confronti della cultura del Germani, solo in parte intaccata dai vizi della civiltà romana. Etnie germaniche vivevano disseminate sulle due sponde del fiume Reno, alcune di queste intrattenevano alleanze con l’impero, altre erano state annientare e deportate.

Capitolo 1 di confini, fiumi e mari della Germania. Capitolo 2 e tradizioni locali. Tacito utilizza il tema della ‘purezza’ etnica. Se ne ricorda quindi la discendenza leggendaria dall’antenato primogenito Tuisto (o Tuisco), generato dalla Terra e padre di Mannus, a sua volta progenitore del genere umano. Sembra che padre e figlio siano stati oggetto di canti di tradizione orale, fonti storiche per eccellenza in una cultura che non conosce trasmissione scritta. Si tratta di composizioni metriche che facevano parte del repertorio comune dell’oralità e che comprendevano liste di sovrani,

comitatus segna l’inizio del processo di disgregazione delle antiche società germaniche, basate su un libello di accumulazione ridotto, una struttura oligarchica con un basso tasso di conflittualità interna e un sistema ideologico, etico e religioso sostanzialmente condiviso: ciò ebbe luogo attraverso il crescente potere di bande militarizzate e svincolate dal controllo assembleare. Capitoli 15-17. Vita sociale dei Germani, con riferimenti alle occupazioni quotidiane, alle loro abitazioni e al vestiario. Tacito sottolinea l’ozio degli uomini in epoca di pace e la delega dei lavoro quotidiani a donne e vecchi, così da potersi dedicare alla diplomazia, alle alleanze e alla riscossione di donativi. Le dimore sono semplici e quasi sconosciute sono le tecniche di costruzione, la pietra e le tegole. Capitoli 18-20. Matrimoni e famiglia. Tacito elogia la sobrietà dei rapporti coniugali, l’acquisto della donna tramite una ‘dote’ e altri doni portati dal marito alla moglie e da questa passato ai discendenti. L’autore si compiace della rigida condivisione delle fatiche sopportate in egual misura dalla moglie e simboleggiate da oggetti non voluttuari portati al marito come dote matrimoniale Femminile. La donna germanica manifesterebbe austerità, un alto grado di castità è un sano disinteresse alle attrazioni della vita, valori ormai ignoti alla donna romana, viziata e spesso di facili costumi. Si ricorda la monogamia, il divieto presso certe tribù che la donna possa sposarsi più una volta nella vita e la non limitazione del numero dei figli, che essa allatta direttamente e che cresce con grande semplicità. Il tardo debutto sessuale garantirebbe ai maschi grande virilità e alle femmine una solidità fisica che favorisce la nascita di figli forti e resistenti. Capitolo 21. Sfera del diritto: le inimicizie del singolo sono condivise da ogni membro del clan, benché non esistano contese. Si sottolinea il vincolo sacro dell’ospitalità. Capitoli 22-24. Consuetudini domestiche, bevande, cibi e divertimenti. Dei Germani qui sono descritti la passione per il gioco e il bere, l’esibizione sfrontata di virtù e cimenti militari e il rilevante significato sociale del banchetto. Capitolo 25. Posizione di schiavi e liberti analizzata con stacco: i Germani sembra non sappiano come utilizzare al meglio gli schiavi, che trattano come coloni. Capitolo 26. Economia e assenza di usura, di suddivisione delle proprietà e delle coltivazioni, diversamente dalla testimonianza di Cesare, a proposito delle presunta assenza di proprietà fondiaria, contraddetta dall’archeologia. Capitolo 27. Cerimonie funebri, celebrate senza sfarzo e prive di monumenti di particolare prestigio, tra il pianto delle donne e la memoria delle gesta del defunto coltivata dagli uomini, che non indulgono in comportamenti di disperazione. Capitolo 28 fino alla fine. Lunga parentesi incentrata su singole ‘nazioni’ germaniche, con un tributo speciale a Cesare e alla sua menzione dell’antica superiorità dei Galli suo Germani. Tacito chiama in causa circa settanta etnonimi, dei quali almeno tre rappresentano soltanto anfizionie, altri tredici hanno un’origine non germanica e la restante cinquantina è ambigua.

Capitolo 5. Dalle guerre marcomanniche ai regni romani-germanici. Il delicato equilibrio geo-politico raggiunto in Occidente con la dinastia degli Antonini aveva favorito l’espansione della cultura mediterranea verso settentrione. Alla metà del secolo II, questa stabilità si stava tuttavia avviando verso una crisi ineluttabile, ma la documentazione scritta che copre questo periodo è troppo lacunosa. Neanche l’archeologia è purtroppo in grado di fornire elementi con i quali comprendere, nel sec, le trasformazioni di etnie e confederazioni.

Economia, conflitti e fenomeni di immigrazione. La forte pressione e le richieste di immigrazione pacifica di intere tribù o di cospicui gruppi e bande di profughi, diedero vita a una serie di reazioni che andavano da semplici incursioni e razzie a conflitti più prolungati, l’origine dei quali va ricercata nel profondo processo di trasformazione delle culture a est dell’Elba. La minaccia principale proveniva dalla spinta di intere tribù, talvolta molto lontane, in cerca di terra. Nel 166, sconfitti i Parti, l’esercito imperiale era appena rientrato dall’Armenia e si era trovato subito ad affrontare un’onda di incursioni in territorio romano di ca. 6000 Longobardi e Osi. Il problema maggiore era dato dalla contemporaneità dell’attacco in diversi punti del dispositivo di difesa. Nel 168 una nuova coalizione aveva varcato il limes e alcuni gruppi erano giunti a devastare Oderzo e ad assediare Aquileia, porta orientale d’Italia; il territorio della penisola italica veniva violato, ma anche in questo caso la minaccia fu disinnescata è trasformata in una vittoria diplomatica e in una pace effimera. Ma ad ogni primavera ripartivano le ostilità e le violenze, senza arrivare a una pace definitiva. L’apporto di prigionieri di guerra venduti cominciava a scarseggiare, dare le posizioni più difensiviste della politica estera romana, tanto che divenne conveniente rivolgersi ai Germani, sia nella loro veste di commercianti di schiavi, sia per la loro disponibilità all’arruolamento garantita da precise condizioni. Il periodo di crisi tra i secc. II e IV segna un’accelerazione. L’esplosione demografica, risultato di un accresciuto benessere materiale, rendeva i territori germanici un mercato allettante per il commercio, contribuendo all’espansione di una manifattura locale che, pur disomogenea e collegata a modelli romani, si stava sviluppando su basi autonome. In questo periodo, il dispositivo militare di Roma inizia a mostrare segnali di cedimento, per le difficoltà di qualsiasi esercito professionale dislocato su confini estesi e per la riduzione dei benefici alle legioni frontaliere rispetto alle truppe di élite costituite in Italia intorno alle città e a difesa dell’imperatore. A partire da Commodo si consolida la prassi dei sussidi pagati ai capi militari barbarici per disincentivarne atti di aggressione inattesi. Le nuove confederazioni del sec. III rappresentavano il risultato della fusione di sottogruppi eterogenei organizzati secondo dispositivi di potere diseguali. L’elenco dei conflitti fronteggiati da Roma in un secolo e mezzo testimonia con eloquenza la progressiva perdita di controllo sul fronte renano e a nord del Danubio. Nonostante l’instabilità interna e la minaccia costante di inflitrazioni, l’insediamento di etnie confederare in territori imperiali a larga maggioranza non germanica di configurava ancora privo di un disegno organico. Durante le guerre tra i successori di Costantino I, la confederazione dei Franchi si era ormai insediata sulla sponda sinistra del Reno; gli Alamanni invece irrompevano ripetutamente in Gallia fino al lago di Costanza. Nel sec la relativa prosperità goduta nelle società germaniche insediate ai margini del mondo romano rappresentava un obiettivo assai ambito e di difficile acquisizione da padre di etnie lontane: i nuovi re-clienti amministravano nelle proprie corti i sussidi e le forniture dei Romani, che non eccepivano sui surplus derivanti da eventuali razzie e guerre condotte localmente. La forma migratoria in grandi unità poteva allora rappresentare un’opportunità economia alternativa. La peculiarità di quelle aggregazioni etniche sta nei loro appellativi generici, i quali indicano un’unione elastica di genti, che condividono per un tempo variabile interessi, sentimenti e identità riconosciute e utilizzate dai loro interlocutori.

Senato. L’insediamento ostrogotico in Italia si indirizzò sui grandi centri urbani del potere politico ed economico del Tardo Impero. Nel regno gotico d’Italia non fu mai promossa una vera integrazione tra Germani e Romani, una scelta che accentuò la debolezza del regno rispetto agli obiettivi bizantini di riconquista. L’imprigionamento e la morte di papa Giovanni I, la difesa dell’arianesimo, la condanna a morte del senatore Simmaco e del filosofo Severino Boezio alienarono alla fine l’appoggio delle classi dirigenti romane al governo teodericiano. 4. Franchi. Dalla seconda metà del sec. III, la Gallia viveva una situazione di elevata instabilità dovuta agli assestamenti di vari agglomerati, tra i quali spiccavano i Franchi, raggruppamento privo di tratti culturali distintivi, nel quale erano confluite molte tribù ed etnie tra Reno, Weser e Mare del Nord. Il dux Clodoveo, nel giro di un ventennio, riuscì a unificare gran padre delle tribù e a sbarazzarsi di vari potentati regionali, della minaccia turingia, alamanna e visigotica, dando vita a un’aggregazione politica riconosciuta ufficialmente a Bisanzio da Anastasio I. La continuità del regno Franco non fu minacciata dal perenne stato di guerra con i potentati confinanti e col tempo si delinearono tre macro-regioni principali: Asutrasia, Neustria e Borgogna. 4. Visigoti. La Gallia meridionale divenne terra di insediamento da una parte rilevante del grande magma di etnie gotiche, in particolare della confederazione dei Vesi/Tervinghi o Visigoti, agglomerato di comunità formatosi in larga parte della Mesia. Il gruppo principale ottenne il riconoscimento di etnia ‘federata’. L’espansionismo visigotico si indirizzò verso i centri di approvvigionamento di cereali dell’Africa del Nord. Dal 418 la regione divenne centro di un’entità politica che si estendeva su tutta la Gallia di sud-ovest fino a Bordeaux, con capitale Tolosa. L’apogeo della potenza visigotica in Gallia si giovò in particolare del fruttuoso rapporti coi c’eri mercantili e latifondisti Gallo-romani; a ciò si aggiungeva il sostegno indiretto dell’Impero, favorevole ad allargare benefici e territori in Gallia, piuttosto che assecondare un’espansione dei Visigoti verso la regione ispanica. Entrato in conflitto coi potenti regni settentrionali dei Franchi, il regno di Tolosa giunse all’inevitabile scontro. Nel 507, Clodoveo sconfisse Alarico II. Nella penisola iberica si crearono le basi per un nuovo regno visigotico, le cui sedi principali furono Merida, Siviglia, Barcellona e soprattutto Toledo. 4. Alamanni. Gli Alamanni sono per lo più il frutto di una migrazione di agglomerati germanici del bacino dell’Elba verso sud, nella Germania superior. Malgrado i patti di fedeltà con Roma, le incursioni prolungate nell’Italia centro-settentrionale costrinsero Giuliano ad affrontarli ripetutamente, fino al grande successo riportato all’attuale Strasburgo, una vittoria che tuttavia non ne limitò l’insidiosità. Nel sec si estesero divenendo gli arbitri del bacino del medio Reno. Il vero argine fu la nascita della potenza franca. 4. Burgundi. Ignoti a Tacito, Tolomeo lo collocava originariamente nelle sedi polacche del bacino dell’Oder. Il loro antagonismo con gli Alamanni fu sfruttato per un periodo da Roma. Il conflitto con la politica aggressiva dei Franchi si rivelò disastroso e i Burgundi caddero sotto il protettorato franco per essere definitamente incorporati nei sotto-regni degli eredi di Clodoveo. 4. Gepidi. Si stanziarono probabilmente più a sud verso i Carpazi. L’autonomia dei Gepidi fu integrata da gruppi di Sciri, Rugi ed Eruli. Secondo Procopio, furono spesso avversari di Ostrogoti e soprattutto Longobardi. 4. Bavari. Non vi sono al momento notizie sicure sulla loro origine. Lo studio delle sepolture ha rivelato che, al pari degli Alamanni, i Bavari rappresentavano un insieme di etnie germaniche dell’Elba. Numerosi reperti di origine ostrogotica lasciano pensare che il

territorio possa aver fatto parte della prefettura d’Italia al tempo di Teodorico. Essi sono invece citati nella tradizione manoscritta dei Getica di Jordanes a est dell’area boemo-morava. È probabile che i Bavari abbiano costruito un’entità autonoma soltanto dopo l’inizio del sec. IV, in corrispondenza della sottomissione alamanna ai Franchi. Apparentemente privi della tipica monarchia militare alto medievale, i Baiuvari furono tradizionali alleati dei Longobardi, ai quali fornirono perfino dei sovrani e ne condivisero in parte le sorti in Italia. 4. Turingi. L’archeologia tende a riconoscere la formazione di una nuova entità autonoma dei Turingi, arricchita dal contributo di una serie di gruppi nord-orientali messi in movimento dagli Unni e i cui maggiori centri archeologici si situano tra le odierne Hannover e Lipsia. Nel sec. V i Turingi si ritagliarono un potentato con Warni ed Eruli alleato con i Goti d’Italia dal 507. Guerrieri Turingi risultano aver partecipato alla marcia dei Longobardi verso l’Italia. 4. Longobardi. I Longobardi poterono insediarsi nel Noricum, a difesa delle incursioni di Alamanni e Turingi. Una politica di matrimoni mirata permise loro di creare una rete di alleanze con Turingi, Eruli e Franchi, con la quale estendere la propria influenza su gruppi minori. Essi entrarono in massa nella dilaniata penisola senza autorizzata, a conclusione di un lungo processo di etnogenesi, iniziato nel bacino dell’Elba e proseguito in Pannonia e Moravia. I Longobardi irrompevano nello scacchiere mediterraneo esercitando un’egemonia politica che alienò loro l’alleanza con Bisanzio. Dopo i primi contatti traumatici con la popolazione italiana, la presenza longobarda si avviò alla pacificazione e all’integrazione a partire dal lento abbandono dell’arianesimo. Il controllo della penisola fu esercito dalla corona, in Italia settentrionale, Liguria, Toscana e padre delle Venezie, e dai duchi, nelle signorie di Spoleto e Benevento. Nel 774 Carlo Magno pose fine al regno dell’ultimo sovrano e ex suocero Desiderio, senza tuttavia sradicare apertamente l’elemento longobardo. 4. Sassoni. L’etnogenesi è verosimilmente il risultato di migrazioni di tribù più settentrionali. Sul basso Reno, la loro elevata mobilità è ricordata in frequenti atti di pirateria compiuti da bande alleate ai Franchi, tanto da giustificare l’allestimento di un dispositivo di difese sulle coste della Britannia e della Gallia. Gli interessi nel bacino dell’Elba sono alla base dell’alleanza coi Franchi e della fine del regno turingio, ma già Gregorio di Tours considera i Sassoni tributari dei Franchi nel sec. VI, una condizione subalterna che deve aver convinto migliaia di essi a prendere parte alla spedizione in Pannonia e poi in Italia con i Longobardi. Già dal sec. V, la loro composizione subì rivolgimenti importanti, determinati dalla migrazione in Britannia, con il conseguente ripopolamento di veste aree tra Elba e Weser da parte di nuclei non identificabili. Fino almeno alla sottomissione franca, e alla conseguente conversione forzata al Cristianesimo, la società sassone è ripetutamente descritta nelle fonti coeve in una rigida struttura oligarchica in quattro classi chiuse.

Capitolo 6. Società e strutture di potere. L’antropologia definisce ‘società signorile’ quella comunità che presenta una stratificazione sociale dominata da una élite, mezzi di produzione specializzati, un sistema di redistribuzione di beni di prestigio e un capo che eserciti funzioni politiche e religiose.

Particolarmente illuminante è la testimonianza di Ammiano Marcellino, il quale descrive nel sec. IV la leadership burgunda suddivisa tra un ‘re’, responsabile dell’andamento di una guerra e della prosperità del popolo e un ‘sommo sacerdote’. Sembra piuttosto profilarsi l’ipotesi di una progressiva metamorfosi nell’organizzazione del potere delle società agricole germaniche, nelle quali nuove figure di capi di unità militari o migratorie, di estensione variabile e non necessariamente collegate a una stirpe, si sovrapposero alle tradizionali cariche che era espressione dell’equilibrio e del compromesso tra clan di spicco. Nelle società germaniche tra i secc. I e IV si tendono ad ammettere forme eterogenee di esercizio del potere, dalla coesistenza di modelli diversificati di sovranità all’assenza di una istituzione di tipo monarchico. Nella Britannia del sec. V, i complessi gruppi di migranti continentali guidati da capi militari si installarono sull’isola in vaste aree lasciate l’onere, dandosi una forma monarchica unificata solo a partire dai due secoli successivi, come traspare dagli scarsi riferimenti a figure regali. La Scandinavia pre-vichinga fornisce dati più rarefatti sull’organizzazione politica e su figure assimilabili alla monarchia, quasi del tutto assenti nelle attestazioni runiche di area nordica.

L’assemblea degli uomini liberi. Tra le due figure-guida del mondo germanico isolare da Tacito, si inserisce una forma ibrida di consiglio assembleare dai caratteri oligarchici, nel quale prevalgono figure di spicco. Un secolo e mezzo prima, Giulio Cesare aveva registrato un’assemblea dei guerrieri non meglio precisata, sottomessa a un consiglio confederale dei ‘capi’, riunito, in caso di pericolo, con poteri militari e strategici. Non vi sono prove che confermino le riunioni di questo consiglio di maggiorenti anche in tempo di pace, ma in nessun caso sembra che al tempo di Cesare i capi potessero agire senza il consenso dell’assemblea. Malgrado la crescente disuguaglianza economica e sociale, un organismo assembleare di uomini di condizione libera (thing), riunito in periodi prestabiliti, era dunque ancora attivo al tempo di Tacito. I suoi contorni rappresentativi sono però vaghi. Alla fine del sec. I, il consiglio era dominato da figure di spicco dell’aristocrazia locale, in grado di promuovere istanze, infiammare dibattiti, esercitare prestigio e persuasione. Tuttavia, il ruolo di un simile consiglio è descritto ancora come centrale per le questioni di maggiore importanza. L’assemblea deliberava, oltre alle questioni belliche, trattati di pace o di alleanza e svolgeva funzioni giudiziari nei casi ritenuti di interesse generale. Proprio la centralità di questo istituto deve essere stata percepita da Roma con ostilità se ne proibiva lo svolgimento o lo concedeva a condizioni che fossero presenti propri delegati.

La natura delle clientele germaniche: il comitatus. Una illustre nobiltà o i grandi riconoscimenti degli antenati conferiscono la dignità di un principe anche si giovani; si aggregano ai capi più maturi ed esperti. Quei capi sono ricercati per mezzo di ambascerie e colmati di doni e spesso con la loro fama decidono le sorti della guerra. In battaglia è disonorevole per un capo lasciarsi superare in valore dal seguito e ugualmente per il seguito non eguagliare il coraggio del capo. Inoltre è un’infamia è una vergogna non eguagliare il coraggio del capo. I capi combattono per la vittoria, i seguaci per il capo. Se la tribù in cui sono nati si adagia nell’odio di una li fa pace, molto giovani nobili raggiungono spontaneamente le tribù che al momento sono impegnate in qualche guerra. I mezzi per essere prodighi derivano solo dalle guerre e dai saccheggi. L’accumularsi di un’improvvisa ricchezza in circolo ristretti provocava inevitabili ripercussioni a lungo termine sulla struttura tradizionale dei clan, con l’affermazione di una

nuova classe sociale. Si trattava della compagnia di uomini che Tacito ribattezza comitatus, il seguito di fedeli di un capo. Questa cerchia condivideva la condizione di seguace e di scorta con una disparità di rango. Nelle società del mondo antico, l’esistenza di relazioni politico-economiche sotto forma di associazioni private e verticistiche di natura clientelare è cosa nota. Tempi, luoghi e condizioni anche molto diverse impediscono tuttavia di riconoscere una tipologia standard di aggregazioni analoghe. Fratellanza militare, fedeltà e reciprocità di doveri, nel racconto tacitiano, sembrano contraddistinguere questa libera associazione autoritaria e gerarchica, a base individuale. La competizione è la spinta che muove questo nuovo istituto. Schiere di giovani di tribù anche diverse di riuniscono intorno a un ‘attore’ principale, un capo, per partecipare inizialmente a un’impresa, una razzia, un servizio prestato per le forze armate romane. Alla rivalità tra i partecipanti per occupare il posto più vicino al capo, si affiancava una rivalità tra capo e seguaci per compiere azioni esemplari. L’ingresso in un comitatus rappresentava concretamente un’occasione di promozione sociale e di arricchimento materiale. Una simile condizione presuppone nuovi possibili scenari ideologici, economici e perfino dell’immaginario religioso. Nell’amplificare le differenze economiche, i bottini o le ricompense acquisiti modificavano la suddivisione del lavoro all’interno della comunità, rischiando di fomentare malcontento. Il comitatus risulta dunque il prodotto di nuove forme economiche. Rispetto a quanto indicato da Cesare, il comitatus di Tacito ha ormai caratteri di maggiore continuità. Il numero stesso dei compagni incide sul prestigio sociale del capo, oggetto di una fedeltà tale da condividerne eventualmente la morte. Una questione ancora irrisolta riguarda il grado di autonomia di un comitatus rispetto ai clan e all’assemblea tribale, se le attività di questo cioè non rischiassero di procurare problemi al resto della comunità e se quindi si possa ipotizzare che tale organismo si sia inizialmente sviluppato laddove le strutture politiche tradizionali fossero già entrare in crisi. In tal caso, queste nuove aggregazioni provare avrebbero finirò per supplire a compiti politici.

La donna. La società germanica era fortemente ancorata a un ordinamento patriarcale. La posizione della donna in seno alla famiglia era centrale, ancorché delimitata da una precisa ideologia che la subordinava alla tutela maschile prevista per i membri giuridicamente non autonomi, il cosiddetto mundio, termine che può eventualmente indicare anche il prezzo di acquisto della sposa pagato alla famiglia di origine. Tacito ne ricorda il ricorda il ruolo significativo nell’ambito dei vaticini e la sacralità di cui era spesso oggetto. L’oltraggio all’inviolabilità di una donna o alla simbologia che essa rappresentava costituiva una grave offesa alla stirpe che la tutelava. Dai riscontri dei codici giuridici emerge che la donna, benché in posizione secondaria, potesse vantare diritti economici, nell’attività domestica, oltre che ereditari, diritti che il resto della parentela non poteva ignorare, condizione particolarmente valida per l’aristocrazia. La limitazione delle fonti e il loro carattere spesso contraddittorio è responsabile dell’incertezza e dell’ambiguità con le quali viene solitamente rappresentata l’evoluzione delle società germaniche a partire dalla fine dell’Impero.

I liberi. Numerosi sono i termini che connotano il concetto di uomo ‘libero’. La Lex Gundobada burgunda sembra identificare con leudes una categoria intermedia tra gli uomini più in vista e quelli di rango inferiore, mentre il diritto franco e quello visigotico alludono per lo più a figure di prestigio prossime al sovrano.

Decisamente scarse sono le notizie che provengono dalle fonti classiche sui popoli del Nord. Il primo commentatore fu probabilmente Pytheas di Marsiglia, al quale si deve la descrizione di una mai identificata isola di Thyle, circondata a nord da un mare gelido quasi gelatinoso. La Scandinavia era ritenuta un’isola nel vasto Golfo Codano (Mar Baltico), nel quale si estendeva anche la Penisola cimbrica (lo Jutland), terra di Cimbri. Di quattro “isole Scandie” parla Tolomeo, la più grande delle quali sarebbe localizzata di fronte alla foce della Vistola. A nord dei Sassoni, egli enumera infine alcuni popoli, dei quali nient’altro è noto. Fino al sec. VI, soltanto l’archeologia fornisce indicazioni sulle società nordiche antiche, sulla conflittualità tra piccole signorie e centri di potere danesi, svedesi meridionali e norvegesi orientali e sui numerosi sacrifici umani. Il secolo VI coincide con la prima menzione dei Dani.

Leadership è potere in Scandinavia. Dall’abbondanza di beni di prestigio romani in Scandinavia si intuisce un diffuso senso di identificazione col mondo mediterraneo o comunque l’affermazione di uno status symbol attraverso l’esibizione e lo scambio di merci straniere. Dalla fine del sec. II si registra un aumento significativo dell’importazione di argento e oro; al grande afflusso di monete d’argento si aggiungeva il transito di cospicue quantità di armi di fattura tardo-romana, sia attraverso i canali del contrabbando, sia forse per il frequente impiego di forza-lavoro militare reclutata in aree limitrofe. La crescente disponibilità aurea fino al sec. VI fu il fattore determinante per la produzione su larga scala di bratteati spesso incisi con rune. Se l’archeologia rivela l’espansione di prodotti di lusso nelle sepolture ‘principesche’ delle isole danesi nei secc. III-IV restano ancora incerti i meccanismi locali che me hanno determinato l’esigenza. Con l’età del Ferro germanica tende a mutare anche la provenienza dei manufatti di prestigio, originati adesso in misura maggiore da un artigianato locale o limitrofo, un segnale non secondario che non ha ricevuto a tutt’oggi risposte condivise. L’improvviso declino di siti cimiteriali e cultuali dell’area jutlandese è collegabile allo spostamento di considerevoli porzioni tribali verso la ex Britannia celtoromana. Ciò aveva prodotto un ricollocamento di gruppi provenienti dalle isole danesi, da Svezia e Norvegia, attraverso nuove forme di aggregazione politica delle quali il poema anglosassone Beowulf può in parte costituire un prezioso documento.

L’era vichinga. Le incursioni per mare, dirette contro porti e centri di smistamento mercantile, non erano una peculiarità dei pirati nordici. Già in epoca romana, esisteva un servizio imperiale di polizia marittima sulle due coste della Manica. Bande di Sassoni (e di Frisoni) tormentavano di frequente le coste britanniche e sopratutto galliche ed è pertanto una forzatura delle fonti l’immagine esclusiva di assalti vichinghi per mare verso inermi comunità di monaci o contadini. Quello che differenzia il fenomeno vichingo è il carattere eterogeneo della spedizione, accanto al quale iniziarono a manifestarsi progressivamente forme politiche di insediamento ad ampio raggio. La diaspora vichinga fu un fenomeno articolato e difficilmente riconducibile ad un unico obiettivo. I sost. aisl. viking (femm.) e vikingr (masch) indicano rispettivamente “attività collegata alla navigazione” e “uomo imbarcato, commerciante, pirata, guerriero”. Il sec. VIII scandisce la rivoluzione tecnologica che favorì l’espansione su larga scala del fenomeno vichingo: questa comprendeva l’innalzamento della prua e della poppa, il rafforzamento di una chiglia centrale monoblocco, e soprattutto l’impiego estensivo della

vela. Nessuna delle imbarcazioni rinvenute fino a quell’epoca rivelava una capacità di navigazione in alto mare: le chiglie erano piatte e lo scafo aveva una struttura semplice, inadeguata a sopportare le onde. Le aree divenute centro di interesse vichingo furono quasi sempre il risultato di scelte accuratamente ponderate, sia per cognizioni geografiche, sia per la conoscenza di regimi e istituzioni politiche ed economiche. Gli obiettivi erano centri di produzione agricola e allevamento o comunque zone a contatto con intensi flussi commerciali, dai quali la Scandinavia era stata tagliata fuori da alcuni secoli. Fu l’aristocrazia scandinava a guidare lo sfruttamento dei mercati costieri del Mare del Nord e del Baltico, attraverso l’imposizione del proprio controllo sui traffici marittimi. Soltanto i nobili potevano permettersi navi ben equipaggiate, con viveri e armi per i partecipanti all’impresa, il proprio seguito personale. Dalle incursioni e dal traffico di prodotti locali, l’iniziativa vichinga si reindirizzò verso il commercio su larga scala è fortemente concorrenziale di schiavi e di merci prodotte da altri; fu una vera e propria attività di intermediazione verso basi e mercati ‘amici’, estremamente redditizia dal punto di vista sia economico sia politico, grazie anche alla trasformazione della tecnologia navale e a possenti navi da carico, che poco avevano in comune con le temibili navi da guerra vichinghe dell’immaginario medievale. Quella che si delinea è una situazione nella quale le esigenze di un controllo più stabile dei centri di raccolta e smercio resero necessaria la presenza in loco di rappresentanti degli investitori con le proprie scorre armate. Le ricchezza prodotte da queste attività scatenarono forti competizioni nelle nuove terre, ma anche in madrepatria divennero ordigni insidiosi nella lotta politica. L’afflusso di ricchezza alimentava sempre più gli squilibri interno e l’aumento di pretendenti accreditato al dominio politico.

Fenomeni di espansionismo. Il processo espansionistico segnato dell’era vichinga viene talvolta ancora etichettato in termini di flussi nazionali. Le prime fasi degli spostamenti indicano l’Inghilterra dal carattere ancora poco organico e il regno dei Franchi come i primi obiettivi di incursioni indirizzate verso insediamenti costieri e centri commerciali. A cavallo del sec. IX fu interessata anche la costa occidentale scozzese, con ripetuti raid verso le isole Ebridi, in particolare verso l’importante centro monastico celtico sull’isola di Iona. L’allargamento della presenza vichinga tocca in questa fase: - l’Irlanda, sulle cui coste si registrarono insediamenti sempre più stabili, attraverso i quali il

potere vichingo sull’isola si protrasse fino a circa il 1014;

- Il Galles- La Cornovaglia, che fin quasi alla metà del sec. IX approfittò dei contrasti tra vichinghi e

regni sassoni per mantenere una propria autonomia.

A partire dall’820, per oltre un secolo, si moltiplicano gli attacchi alle coste frisoni e franche, risalando i fiumi del Nord, per giungere ad assediare e saccheggiare centri importanti, come per esempio Parigi, Colonia, Aquisgrana o Amburgo. Le basi nella Manica o le isole del Tamigi rappresentavano una rete di protezione e supporto logistico determinante, che permetteva di spostarsi e ritirarsi con rapidità dalla Scozia, dal Golfo di Biscaglia o dal Mediterraneo senza dover rientrare in Scandinavia. Dalla metà del sec. IX, agli attacchi si accompagnò la permanenza sui luoghi di azione anche durante i mesi freddi, con una sempre maggiore presenza femminile. Soprattutto l’Inghilterra, i suoi porti e le sue risorse, diventarono l’obiettivo prevalente delle operazioni.